
Nino Luca sul web del “Corriere della Sera”, sta scrivendo articoli e raccogliendo mail di giovani laureati che cercano di entrare come ricercatori o come docenti all’università, e spiegano come i concorsi siano truccati, decisi. Molte lettere sono formulate come fossero una scommessa: volete vedere che nel concorso della Facoltà di Lettere, della città di… vincerà, sui 20 partecipanti, il dott… etc. etc.? Molti, protetti dall’anonimato, per “evitare ritorsioni”, scrivono già cosa potrà accadere nei vari concorsi sparsi per l’Italia. E naturalmente c’è ormai un’onda, magari più piccola, di indignazione generale, con la richiesta, davvero bizzarra, di far esaminare i candidati da commissioni straniere.
Che i concorsi universitari non premino il merito dei candidati ma quasi esclusivamente gli equilibri di potere tra atenei e docenti è una cosa assolutamente nota. Che tutto questo abbia portato negli anni a una qualità universitaria non adeguata agli standard europei è un dato di fatto. E che questo porti a un impoverimento nella ricerca, è cosa ormai sotto gli occhi di tutti.
Ma in verità, il vizio dei concorsi truccati dell’università non è che un piccolissimo tassello di un paese che sembra quasi irridemibile. Dove tutto è dilettantesco, vecchio, stanco, e neppure troppo onesto. Dove le classi dirigenti (tutte) sono selezionate per cooptazione, e sono inadeguate completamente, dove la classe politica (tutta) è troppo vecchia. Dove gli stessi giovani hanno gettato la spugna, smettono di prepararsi veramente, e provano a cercare lavoro e posizione attraverso l’intrigo, l’ambiguità, ed ereditano da subito vizi e vezzi della classe dirigente.
Alla fine i più bravi vanno via (e sono quasi sempre i più ricchi, quelli che se lo possono permettere) mentre tutti gli altri imparano a nuotare sulle sabbie mobili, e perfezionano quel modo melmoso e sfuggente che è dei loro padri e dei modelli politici e imprenditoriali di riferimento. La tragedia non è che il nostro “non è un paese per giovani”: la tragedia è che l’Italia è diventato un paese dove i giovani si comportano come i vecchi, e senza avere neppure avere la preparazione dei loro padri e dei loro nonni. Quei vecchi potenti che da noi non sono saggi e generosi, ma avidi e con un’ansia ormai patologica di conservare e di rimanere nei posti di potere.
Fonte (L' Unità 20/11/08)
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